La Mononucleosi, contrariamente al suo popolare soprannome, “la malattia del bacio”, non ha aspetto amoroso. Questa infezione patogena si trasmette effettivamente via saliva, da qui l’associato riferimento romantico, prevalendo principalmente a seguito di esposizione ad un tipo di virus appartenente alla famiglia dell’herpes.
Il tempo di incubazione della mononucleosi potrebbe protrarsi fino a 50 giorni, con una durata della patologia infettiva che varia normalmente dalle due settimane in su. Tuttavia, gli effetti a lungo termine della mononucleosi possono durare anche oltre.
I segnali di allerta della mononucleosi tra la popolazione adulta (l’età prevalente di contrazione si situa tra i 15-25 anni) sono spesso confondibili con i sintomi standard di un po’ di raffreddore o una normale influenza, rendendo il processo diagnostico alquanto complesso.
In questo articolo, approfondiremo cosa sia realmente la mononucleosi, quanto si protrae il periodo di contagio e le opzioni curative disponibili.
Cos’è la mononucleosi e da cosa è causata
Spesso definita come la malattia del bacio o malattia dei baci, la mononucleosi è un’infezione contagiosa che può essere difficile da riconoscere.
Il suo mezzo di trasmissione principale è la saliva, rendendola particolarmente diffusa tra i giovani. Tuttavia, non è un disturbo così grave.
Si stima che circa il 90% degli adulti sia stato esposto al virus almeno una volta, ma solo una piccola percentuale ha mostrato sintomi dell’infezione, dato che il corpo ha prodotto specifici anticorpi per combatterla.
L’origine della mononucleosi è il virus Epstein-Barr (EBV), un membro della famiglia dei virus herpes (alla quale appartengono anche il virus della varicella e l’herpes zoster, comunemente conosciuto come fuoco di Sant’Antonio).
La mononucleosi ha una natura altamente contagiosa e si riscontra prevalentemente tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni.
La trasmissione può avvenire tramite la saliva, attraverso rapporti intimi o mediante trasfusioni di sangue e prodotti ematici. Può avvenire anche in modo indiretto, attraverso oggetti infetti come, per esempio, gli utensili da cucina.
Durata, segnali e identificazione della mononucleosi
Spesso è difficile riconoscere la mononucleosi per il fatto che gli indizi siano molto simili a quelli di un comune raffreddore o influenza: alte temperature corporee, esaurimento, sensazione di spossatezza, scarso desiderio alimentare, malanni muscolari, gonfiore dei linfonodi.
Di solito, l’intervallo di incubazione della malattia supera le quattro settimane, potendo addirittura arrivare a circa 40-50 giorni.
Durante la fase iniziale della malattia, i segnali si presentano piuttosto lievi: affliggimenti alla testa, febbre non alta, limitato interesse per il cibo.
In questo punto, il sistema immunitario va in azione: se è in grado di sconfiggere il virus, i segnali tendono a rientrare alla normalità; al contrario, se non è in grado di resistere all’attacco del virus, emergono segnali molto più specifici, come febbre elevata, torcicollo, disidratazione, gonfiore dei linfonodi, sensazione di spossatezza. Stiamo parlando, in questo caso, della fase acuta della mononucleosi.
La diagnosi accurata della mononucleosi può essere effettuata solitamente attraverso un esame del sangue, oltre alla valutazione clinica del medico.
Il periodo in cui la mononucleosi infettiva si manifesta è generalmente tra 10 e 15 giorni. Tuttavia, i sintomi possono persistere per periodi di tempo più estesi, provocando effetti e sensazioni che potrebbero durare ancora più a lungo.
Come trattare la mononucleosi
Si deve puntualizzare che, nella maggior parte dei casi, la mononucleosi si risolve favorevolmente dure nell’arco di due o tre settimane o, al massimo, alcuni mesi dopo l’infezione.
Per promuovere la guarigione, si raccomanda di restare a letto e riposare il più possibile, evitando attività fisiche strenue per un periodo di almeno un mese.
Seguendo le raccomandazioni del medico, potrebbe essere efficace intraprendere un trattamento farmaceutico con analgesici come l’acetaminofene e l’ibuprofene, accoppiato a dei farmaci antifebbrili, escludendo l’acido acetilsalicilico. Quest’ultimo, infatti, in determinate circostanze può portare alla comparsa di complicanze serie come la sindrome di Reye.
È importante ricordare che, anche in seguito alla completa guarigione, il virus ha la tendenza a nascondersi all’interno del tessuto linfoghiandolare e può ripresentarsi tramite la tanto temuta sindrome da affaticamento cronico. Si tratta di un’improvvisa diminuzione delle energie fisiche e psichiche che può protrarsi per un periodo prolungato.
Al fine di scongiurare la riemergenza del virus, è suggerito mantenere un sistema immunitario forte e resistente attraverso uno stile di vita attivo ed energico, lontano da situazioni di eccessivo stress, basato su un regime alimentare ben bilanciato e nutriente.
E’ la mononucleosi un rischio durante la gravidanza e l’allattamento?
La mononucleosi non è considerata un pericolo per le donne in stato di gravidanza.
Di conseguenza, la malattia non rientra tra quelle ritenute dannose per le future mamme e non sono state individuate connessioni comprovate e accertate tra la mononucleosi e potenziali distubi al feto.